Le Pensioni nel 2025: le minime, bonus Maroni, rivalutazione. Cosa si sa al momento.
11 Ottobre 2024Questi ultimi mesi sentiremo molto parlare sulle pensioni nel 2025. Cerchiamo di riassumere i motivi.
La legge di bilancio 2025 (la “Manovra”) in Italia è in fase di discussione e il tema previdenziale è al centro del dibattito politico. Il governo sta valutando diverse opzioni per riformare il sistema pensionistico, tra cui la proroga di misure esistenti come Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale, e l’introduzione di nuove misure come Quota 41.
Uno dei punti chiave della discussione riguarda il Bonus Maroni, un incentivo per incoraggiare i lavoratori a continuare a lavorare anche dopo aver maturato i requisiti per la pensione. Il governo starebbe valutando diverse opzioni per rendere il Bonus Maroni più appetibile, tra cui l’esenzione fiscale sui contributi a carico del lavoratore.
Si discute anche della possibilità di aumentare le pensioni minime. L’obiettivo del governo sarebbe quello di alzare le minime fino a una cifra compresa tra i 630 e i 650 euro. Per finanziare questo aumento, si starebbe valutando un taglio alla perequazione dei trattamenti più alti.
Un altro tema caldo è la rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione. Per il 2025, la rivalutazione potrebbe essere pari all’1,5%, il che porterebbe a un aumento di circa 9 euro mensili per le pensioni minime.
Il governo starebbe anche valutando la possibilità di introdurre un nuovo semestre di silenzio-assenso per il conferimento del TFR alla previdenza complementare. Questo significherebbe che una quota del TFR verrebbe automaticamente destinata ai fondi pensione, a meno che il lavoratore non si opponga esplicitamente.
Infine, si discute della possibilità di permettere ai lavoratori pubblici di rimanere in servizio su base volontaria anche dopo aver compiuto 65 anni e maturato i requisiti per la pensione anticipata. Questa misura avrebbe l’obiettivo di favorire il passaggio di consegne nelle amministrazioni pubbliche e di garantire la continuità del know-how.
Indice
Bonus Maroni e le pensioni nel 2025
Per rendere il Bonus Maroni più appetibile, il governo italiano starebbe considerando diverse misure. Cerco di fare un elenco il più possibile completo.
Cos’è il bonus Maroni
Il “Bonus Maroni” è una misura introdotta nella legge di bilancio 2024 del governo italiano. È un incentivo rivolto ai lavoratori che raggiungono l’età pensionabile ma decidono di continuare a lavorare, rinviando il pensionamento.
L’obiettivo del bonus è favorire la permanenza nel mercato del lavoro di persone che hanno già maturato i requisiti per andare in pensione, in modo da alleggerire la spesa previdenziale nel breve termine e ridurre il numero di pensionamenti anticipati.
Ecco i principali dettagli del Bonus Maroni. I Beneficiari sono i lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia (attualmente 67 anni) o i requisiti per altre forme di pensionamento, come “Quota 103”, ma scelgono di restare al lavoro.
L’incentivo è rivolto a chi sceglie di continuare a lavorare, anziché ricevere la pensione, avrà una decontribuzione totale, cioè non dovrà più pagare i contributi previdenziali. Di conseguenza, il lavoratore riceverà l’intero stipendio lordo, compresa la quota che normalmente sarebbe destinata ai contributi pensionistici.
La durata del bonus sarà fino a quando il lavoratore decide di continuare a lavorare, ma una volta che smette, inizierà a percepire la pensione. Il periodo di lavoro aggiuntivo non sarà però considerato ai fini del calcolo della pensione stessa, dato che non saranno stati versati contributi aggiuntivi.
Questo bonus è visto come un’opzione per coloro che desiderano massimizzare il proprio reddito nel periodo precedente al pensionamento ufficiale, in particolare in un contesto in cui molti italiani considerano insufficiente l’importo della pensione rispetto al costo della vita.
Esenzione fiscale sui contributi
Attualmente, i lavoratori che scelgono di non andare in pensione con Quota 103 e di continuare a lavorare possono optare per ricevere in busta paga la quota di contributi del 9,19% che normalmente verrebbe destinata alla previdenza. Tuttavia, questa somma è soggetta a tassazione, il che riduce la convenienza del Bonus Maroni. Per questo motivo, il governo starebbe valutando di introdurre un’esenzione fiscale sui contributi a carico del lavoratore, rendendo l’opzione economicamente più vantaggiosa.
Accredito figurativo dei contributi
Un’altra ipotesi allo studio è quella di permettere a chi decide di continuare a lavorare dopo aver maturato i requisiti pensionistici di mantenere la pensione piena, computando i contributi aggiuntivi come “contribuzione figurativa”. Questo significherebbe che il lavoratore riceverebbe l’intero importo della pensione spettante e vedrebbe comunque riconosciuti i contributi versati durante il prolungamento dell’attività lavorativa.
Estensione del Bonus Maroni a chi ha raggiunto i 42 anni e 10 mesi di contributi
Attualmente, il Bonus Maroni è destinato solo ai lavoratori che hanno maturato i requisiti per Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi). Il governo starebbe valutando di estendere la misura anche ai lavoratori che abbiano raggiunto 42 anni e 10 mesi di contributi, ovvero quelli che hanno già maturato i requisiti per la pensione anticipata ordinaria. In questo modo, si incentiverebbe una maggiore permanenza dei lavoratori esperti nel mondo del lavoro.
L’obiettivo del bonus Maroni
L’obiettivo di queste misure è quello di rendere il Bonus Maroni più attrattivo e di incoraggiare un maggior numero di lavoratori a posticipare il pensionamento, contribuendo così a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano.
Le potenziali categorie per gli incentivi del 2025
Ecco le due categorie di lavoratori per le quali si prevede che il governo italiano potrebbe introdurre nuovi incentivi per il 2025 di cui si parla molto.
I lavoratori prossimi alla pensione con Quota 103: Il governo starebbe valutando la possibilità di rimodulare il Bonus Maroni per renderlo più appetibile. Al momento, questo incentivo consente ai lavoratori che hanno maturato i requisiti per Quota 103 di ricevere in busta paga la quota di contributi che normalmente verrebbe destinata alla previdenza. Tuttavia, il numero di lavoratori che ha scelto di sfruttare questa possibilità è ancora esiguo. Per questo motivo, il governo starebbe valutando diverse ipotesi per rendere il Bonus Maroni più conveniente, tra cui l’esenzione fiscale sui contributi a carico del lavoratore. Si starebbe anche valutando la possibilità di estendere il Bonus Maroni ai lavoratori che hanno raggiunto i 42 anni e 10 mesi di contributi, ovvero quelli che hanno già maturato i requisiti per la pensione anticipata ordinaria.
I lavoratori statali over 65: Si starebbe studiando la possibilità di permettere ai lavoratori pubblici che hanno compiuto 65 anni e maturato 42 anni e 10 mesi di contributi di rimanere in servizio su base volontaria. Questa misura avrebbe l’obiettivo di favorire il passaggio di consegne nelle amministrazioni pubbliche e di garantire la continuità del know-how. Attualmente, i lavoratori statali possono essere collocati in pensione d’ufficio al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata, mentre nel settore privato questo è possibile solo al raggiungimento dell’età di vecchiaia.
Aumento delle pensioni minime
I due principali strumenti per aumentare le pensioni minime nel 2025 sono:
La proroga dell’aumento una tantum introdotto con la Legge di Bilancio 2023
Per il 2024, l’importo delle pensioni minime sarebbe pari a 598 euro. Tuttavia, la Legge di Bilancio 2023 ha introdotto un aumento una tantum del 2,7%, portando l’importo a circa 615 euro. Questo aumento una tantum non si applica automaticamente al 2025. Per questo motivo, il governo starebbe valutando di prorogare la misura nella Manovra 2025.
La rivalutazione Istat per l’adeguamento annuale all’inflazione
Le pensioni vengono rivalutate ogni anno in base all’inflazione. Per il 2025, la rivalutazione prevista si aggira attorno all’1%, il che porterebbe l’importo delle pensioni minime a circa 621 euro.
Il governo starebbe valutando di alzare ulteriormente le pensioni minime, fino a una cifra compresa tra i 630 e i 650 euro. Per finanziare questo ulteriore aumento, si starebbe valutando un taglio alla perequazione dei trattamenti più alti. Tuttavia, questa misura rischia di essere dichiarata incostituzionale. La Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sulla questione dopo l’approvazione definitiva della Manovra 2025.
La rivalutazione delle pensioni
Per il 2025, la rivalutazione delle pensioni potrebbe essere pari all’1,5%. Questo significa che le pensioni aumenterebbero dell’1,5% rispetto all’importo attuale. Ad esempio, una pensione di 1.000 euro al mese aumenterebbe di 15 euro, arrivando a 1.015 euro al mese.
La rivalutazione dell’1,5% porterebbe a un aumento di circa 9 euro mensili per le pensioni minime. Attualmente, l’importo delle pensioni minime è di circa 598 euro al mese. Con una rivalutazione dell’1,5%, l’importo mensile aumenterebbe a circa 607 euro.
Negli ultimi due anni, ai pensionati con pensioni superiori a 2.100 euro lordi al mese è stato concesso un aumento inferiore rispetto all’inflazione. Questo significa che queste pensioni hanno subito una perdita di potere d’acquisto, ovvero che con la stessa pensione si possono acquistare meno beni e servizi rispetto a prima.
La decisione di concedere un aumento inferiore all’inflazione ai pensionati con pensioni più elevate ha permesso allo Stato di risparmiare 4 miliardi di euro all’anno. Questi risparmi sono stati utilizzati per finanziare altre misure, come il taglio del cuneo fiscale.
Le polemiche sulla rivalutazione non mancano
La Corte Costituzionale potrebbe pronunciarsi sulla legittimità del taglio alla rivalutazione delle pensioni. Alcuni pensionati hanno presentato ricorso contro il taglio, sostenendo che è incostituzionale. La Corte Costituzionale dovrà decidere se il taglio è legittimo o meno. Se la Corte Costituzionale dovesse dichiarare il taglio illegittimo, lo Stato potrebbe essere costretto a restituire ai pensionati la differenza tra la rivalutazione effettivamente ricevuta e quella che avrebbero dovuto ricevere se la rivalutazione fosse stata calcolata correttamente.
Sappiamo bene come l’aumento dell’inflazione negli ultimi anni abbia eroso il potere d’acquisto delle pensioni, soprattutto per i pensionati con redditi medi che non hanno ricevuto l’aumento scorso. Il dibattito politico sulla rivalutazione delle pensioni è ancora in corso e si attendono decisioni importanti da parte del governo e della Corte Costituzionale.
Parte del TFR a fondi pensionistici alternativi
Secondo le notizie e i documenti pubblicati il governo italiano starebbe considerando l’adozione di un nuovo semestre di “silenzio-assenso” per il conferimento del TFR alla previdenza complementare. Ciò significa che una quota del TFR, pari al 25%, verrebbe automaticamente destinata ai fondi pensione complementari, a meno che il lavoratore non si opponga esplicitamente entro un periodo di tempo stabilito, che potrebbe essere di sei mesi.
Questo meccanismo si applicherebbe non solo ai nuovi assunti, ma anche ai lavoratori già in servizio che non hanno ancora conferito il TFR. I lavoratori che non desiderano aderire a questo sistema di conferimento automatico del TFR ai fondi pensione dovrebbero quindi dichiararlo esplicitamente entro il periodo di tempo stabilito.
L’obiettivo di questa misura sarebbe quello di incentivare l’adesione alla previdenza complementare, che in Italia è ancora relativamente bassa. I fondi pensione complementari sono uno strumento importante per integrare la pensione pubblica, che negli ultimi anni è stata oggetto di diversi tagli e riforme.
Non è ancora chiaro quali sarebbero i “fondi pensione alternativi” a cui il TFR verrebbe destinato in caso di silenzio-assenso. È possibile che si tratti di fondi pensione aperti o di fondi pensione negoziali. Per avere maggiori informazioni su questo aspetto, è necessario attendere ulteriori dettagli da parte del governo.
Dare la scelta ai dipendenti pubblici di continuare a lavorare
Ecco una spiegazione dettagliata della possibilità di far rimanere a lavoro i dipendenti pubblici anche dopo i 65 anni in Italia:
Possibilità di lavoro oltre i 65 anni per i dipendenti pubblici
Attualmente, i dipendenti pubblici in Italia possono essere collocati in pensione d’ufficio al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata, che per le donne è di 41 anni e 10 mesi di contributi e per gli uomini è di 42 anni e 10 mesi di contributi. Tuttavia, il governo sta valutando la possibilità di introdurre una nuova misura che permetterebbe ai dipendenti pubblici che hanno compiuto 65 anni e maturato i requisiti per la pensione anticipata di rimanere in servizio su base volontaria.
Questa misura allineerebbe il sistema pubblico a quello privato, dove il datore di lavoro può mandare in pensione un dipendente solo al raggiungimento dell’età di vecchiaia (67 anni), mentre il lavoratore può decidere autonomamente di andare in pensione prima se ha maturato i requisiti per farlo.
Obiettivi della misura
L’obiettivo principale di questa misura sarebbe quello di incentivare il prolungamento della vita lavorativa nel settore pubblico, garantendo così la continuità del know-how e un efficace passaggio di consegne nelle amministrazioni pubbliche. La misura potrebbe anche contribuire a ridurre la spesa pensionistica e ad affrontare il problema dell’invecchiamento della popolazione.
Punti da chiarire
Non ci sono ancora dettagli precisi su come questa misura verrebbe implementata. Ad esempio, non è chiaro:
- se la permanenza in servizio oltre i 65 anni sarebbe soggetta a limiti di tempo o a valutazioni periodiche;
- se i dipendenti pubblici che scelgono di rimanere in servizio avrebbero diritto a particolari incentivi o benefici;
- come questa misura si integrerebbe con le altre misure di flessibilità in uscita dal lavoro, come Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale.
È probabile che il governo fornisca ulteriori dettagli su questa misura nel corso dei prossimi mesi, in vista della presentazione della Manovra 2025.
Chi farà i sacrifici di cui tanto si parla?
Ecco una panoramica dettagliata delle categorie di lavoratori che, secondo il dibattito politico in Italia, dovrebbero fare sacrifici per il bene del Paese, vediamo quali sono.
Categorie di lavoratori chiamate a sacrifici
Il dibattito politico sulla Legge di Bilancio 2025 si concentra su quali categorie di lavoratori dovrebbero contribuire maggiormente per risanare le casse dello Stato. Vediamo quelle che si intersecano con il discorso delle pensioni.
Pensionati
Nel dibattito politico si discute frequentemente della necessità che i pensionati contribuiscano al risanamento del bilancio pubblico. In particolare, si parla di pensionati che hanno beneficiato di aumenti inferiori all’inflazione negli ultimi anni. Alcune proposte, come l’aumento delle pensioni minime, potrebbero essere finanziate tramite un taglio alla perequazione dei trattamenti più alti, richiedendo quindi un sacrificio da parte di questa categoria di pensionati.
Operai
Gli operai, ma non è chiaro se riguarda anche i lavoratori con un reddito medio-basso, stanno già facendo sacrifici a causa dell’inflazione, che ha eroso il potere d’acquisto dei loro salari. La proposta di Matteo Salvini di non aumentare le tasse agli operai implica che altre categorie di lavoratori potrebbero dover contribuire maggiormente.
Lavoratori prossimi alla pensione
Il governo sta cercando di incentivare i lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione anticipata a continuare a lavorare, proponendo misure come il Bonus Maroni. Questo richiederebbe un sacrificio da parte di questi lavoratori, che dovrebbero posticipare il pensionamento per contribuire alla sostenibilità del sistema previdenziale.
Dipendenti pubblici
Il governo sta valutando la possibilità di permettere ai dipendenti pubblici che hanno compiuto 65 anni e maturato i requisiti per la pensione anticipata di rimanere in servizio su base volontaria. Questo implicherebbe un sacrificio da parte di questi lavoratori, che dovrebbero posticipare il pensionamento per garantire la continuità del know-how e un efficace passaggio di consegne nelle amministrazioni pubbliche.
Il dibattito sulla ripartizione dei sacrifici
Il dibattito sulla ripartizione dei sacrifici è molto acceso. Alcune forze politiche sostengono che i sacrifici dovrebbero essere distribuiti in modo equo tra tutte le categorie di lavoratori, mentre altre ritengono che le categorie più abbienti dovrebbero contribuire maggiormente.
Il tema della giustizia sociale e della solidarietà intergenerazionale è centrale nel dibattito. Ci si interroga su chi debba sostenere il peso maggiore per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e la crescita economica del Paese.