Stiamo diventando tutti poveri?

Stiamo diventando tutti poveri?

29 Giugno 2024 0 Di Redazione

Ma stiamo veramente diventando tutti più poveri? In poche parole si, e la situazione non va a migliorare, come spiega bene Edoardo Sciré di Starting Finance.
Gli stipendi non sono più sufficienti, o come dicono i giornalisti la questione salariale è diventata centrale nell’economia dello stato.

La questione salariale è tornata centrale nel dibattito pubblico e nella riflessione economica in Italia, soprattutto in un quadro macroeconomico caratterizzato da crescita economica debole e inflazione fuori controllo negli ultimi anni.
I salari sono un elemento cruciale della domanda aggregata, sono al centro della condizione dei lavoratori e rappresentano l’oggetto principale, insieme ad una parte normativa, della contrattazione collettiva.
Negli ultimi anni, l’Italia, già caratterizzata da una lunga stagnazione dei salari reali prima ancora della crescita dell’inflazione a causa del Covid e dell’invasione Russa, ha registrato infatti un’inflazione elevata (+17,3% nel periodo 2021-2023).

Durante questo periodo, l’andamento salariale non ha seguito quella dei prezzi. I salari sono stati intaccati da un’inflazione principalmente determinata dalla crescita dei profitti, come riconosciuto dal Governo italiano nell’ultima Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF). Un ritorno ad un tasso di inflazione del 2%, obiettivo della Banca Centrale Europea (BCE), non sarebbe sufficiente per ripristinare il potere d’acquisto perso dai lavoratori italiani negli ultimi anni.

Sintesi della situazione salariale Italiana

Negli ultimi trent’anni, i salari reali in Italia non sono cresciuti quanto è cresciuta l’economia, registrando addirittura un calo rispetto ai livelli del 1990. Siamo più poveri di 35 anni fa. Questo declino è particolarmente evidente se confrontato con altri Paesi dell’Eurozona come Germania e Francia, dove i salari reali sono aumentati nello stesso periodo.

Diversi fattori contribuiscono a questa situazione:

  • Erosione da Inflazione: L’aumento dei prezzi al consumo ha superato costantemente la crescita dei salari nominali, erodendo il potere d’acquisto dei lavoratori. Questo problema è particolarmente sentito dalle famiglie a basso reddito, che subiscono un impatto più significativo dall’aumento del costo della vita.
  • Bassi Salari Medi: I salari medi lordi in Italia sono significativamente inferiori rispetto ad altri grandi Paesi europei come Germania e Francia, con un divario che si è ulteriormente ampliato negli ultimi decenni.
  • Scarsa Qualità del Lavoro: L’Italia presenta un’elevata incidenza di lavoro precario, con contratti a termine, part-time involontario e discontinuità lavorativa. Questi tipi di contratti sono spesso associati a salari inferiori e minori tutele per i lavoratori.
  • Ritardi nei Rinnovi Contrattuali: I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) in Italia subiscono ritardi significativi nei rinnovi, lasciando un’alta percentuale di lavoratori con contratti scaduti e non adeguati all’inflazione.

La combinazione di questi fattori ha contribuito a creare una situazione in cui i salari reali in Italia sono diminuiti, aumentando le disparità di reddito e aggravando le condizioni economiche di molti lavoratori.

Perché stiamo diventando più poveri

La mancanza di crescita degli stipendi nei giornali di economia la troviamo sempre descritta come “stagnazione salariale”, un modo di dire che forse nasconde troppo la gravità del significato rispetto a “siamo più poveri”.
Comunque, le cause principali della stagnazione salariale in Italia sono molteplici e interconnesse.

  • Bassa crescita della produttività: La crescita dei salari in Italia è inferiore a quella di altri Paesi europei a causa della bassa produttività dell’economia.
  • Mancato adeguamento dei salari all’inflazione: Nonostante una crescita dei salari nominali, questa non è stata sufficiente a compensare l’aumento del costo della vita, con una conseguente diminuzione del potere d’acquisto dei lavoratori. L’aumento dei prezzi ha eroso completamente l’aumento nominale delle retribuzioni contrattuali.
  • Ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi: I lunghi ritardi nel rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) hanno portato a una situazione in cui una parte significativa dei lavoratori dipendenti si trova a lavorare con un contratto scaduto, non al passo con l’aumento dei prezzi.
  • Bassa qualità dell’occupazione: Il modello di sviluppo italiano, basato su un sistema produttivo a basso valore aggiunto e sulla prevalenza di micro e piccole imprese, genera una domanda di lavoro meno qualificato e più precario, con conseguenti salari più bassi.
  • Elevata incidenza di lavoro precario e a basso salario: In Italia c’è un’alta percentuale di lavoratori con contratti a termine, part-time involontario e discontinuità lavorativa, tutti fattori che contribuiscono a mantenere bassi i salari medi.
  • Assenza di un salario minimo indicizzato all’inflazione: La mancanza di un salario minimo adeguato non tutela la componente più debole della forza lavoro, ovvero coloro che percepiscono retribuzioni orarie molto basse.

Oltre a questi fattori, la crescita dei profitti aziendali a fronte di una stagnazione salariale contribuisce ad aumentare le disuguaglianze. La situazione è aggravata dalla crescita dei prezzi, che ha un impatto maggiore sulle famiglie con minori capacità di spesa.

Come stiamo messi rispetto gli altri paesi d’Europa

L’Italia ha registrato la maggiore diminuzione dei salari reali tra i paesi europei, con una diminuzione dell’8% tra il quarto trimestre del 2019 e il quarto trimestre del 2023.

Nell’Eurozona, la retribuzione reale per dipendente è diminuita in media del 3% durante lo stesso periodo, ma molti paesi che prima avevano una situazione salariale in crisi ora vanno molto meglio dell’Italia.

In Portogallo, la retribuzione reale è aumentata del 7%, mentre in Francia e Germania è diminuita del 3-4%.
Secondo Unicredit, queste differenze sono principalmente dovute ai diversi livelli di inflazione causati dalla pandemia e dalla guerra, con l’aumento dei prezzi del gas che ha avuto un impatto particolare su Germania e Italia.

Un altro fattore che contribuisce alle differenze è che i salari nominali in alcuni paesi hanno beneficiato dell’indicizzazione dei salari e degli aumenti del salario minimo.
L’Italia ha registrato la più forte contrazione dei salari reali tra i paesi europei a causa di richieste salariali relativamente contenute, un processo graduale di rinnovo dei contratti e l’assenza di un salario minimo.
Tra il 2019 e il 2022, i salari reali in Italia sono diminuiti di 1.000 euro all’anno per lavoratore.
Tra il 1992 e il 2022, i salari reali medi in Germania e Francia sono aumentati rispettivamente del 22,9% e del 31,6%, mentre quelli in Italia e Spagna sono diminuiti dello 0,9% in Italia e rimasti invariati in Spagna.
Nel 2022, i salari nominali medi sono aumentati in Germania, Italia, Francia e Spagna, ma l’aumento è stato ampiamente insufficiente a compensare l’aumento del costo della vita dovuto all’aumento dell’inflazione.

A cosa è dovuta questa differenza tra l’Italia e il resto d’Europa

Diversi fattori contribuiscono al divario salariale tra l’Italia e altri Paesi europei.

  • Bassa produttività: la crescita dei salari in Italia è inferiore a quella degli altri Paesi europei a causa della bassa produttività dell’economia.
  • Mancato adeguamento dei salari all’inflazione: l’aumento dei prezzi al consumo ha eroso il potere d’acquisto dei salari in Italia. Questo perché gli stipendi sono rimasti stagnanti, mentre i prezzi sono aumentati.
  • Mancato rinnovo dei contratti collettivi: i lunghi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) fanno sì che molti lavoratori italiani abbiano stipendi non in linea con l’aumento dei prezzi. Ad esempio, a giugno 2023, il 53,9% dei lavoratori dipendenti era ancora in attesa del rinnovo del contratto.
  • Modello di sviluppo basato su micro e piccole imprese: l’Italia si basa su un sistema produttivo a basso valore aggiunto, con un’alta presenza di micro e piccole imprese. Questo genera una domanda di lavoro meno qualificato, più precario e, di conseguenza, meno retribuito.
  • Alta incidenza di lavoro precario: l’Italia ha un’alta percentuale di lavoratori con contratti a termine e part-time involontario, che contribuiscono ad abbassare il salario medio annuale. Tra il 2019 e il 2022, la crescita maggiore dei salari in Europa ha riguardato i lavoratori a basso reddito, mentre le fasce di reddito medio-alte hanno goduto di aumenti medi più contenuti.
  • Assenza di un salario minimo: a differenza di altri Paesi europei, l’Italia non ha un salario minimo. Questo contribuisce a mantenere bassi i salari, soprattutto per i lavoratori meno qualificati.

In conclusione, il divario salariale tra l’Italia e gli altri Paesi europei è il risultato di una combinazione di fattori strutturali e congiunturali. La bassa crescita economica, la bassa produttività, la precarietà del lavoro e la mancanza di un salario minimo sono alcuni degli elementi che contribuiscono a spiegare questo divario.

Come si risolve questo problema

Per contrastare la diminuzione dei salari in Italia, dovrebbero essere implementate diverse soluzioni:

  • Rinnovo dei contratti collettivi: Un’azione fondamentale è il rinnovo dei contratti collettivi, che in molti casi sono scaduti da tempo e non riflettono l’aumento del costo della vita. Questo permetterebbe un adeguamento delle retribuzioni all’inflazione. Nel 2023, si prevedeva che alcuni rinnovi contrattuali inizieranno ad incorporare aumenti a ritmi più sostenuti, come nel caso del contratto del commercio, che prevede un aumento del 4% annuo fino al 2027. Ma non si sa bene che fine ha fatto questo intervento.
  • Introduzione di un salario minimo indicizzato all’inflazione: Questa misura, sebbene parziale, potrebbe aiutare a recuperare parte del potere d’acquisto perso dai lavoratori con retribuzioni più basse, in particolare quei tre milioni di persone che percepiscono meno di 9 euro lordi l’ora.
  • Indicizzazione degli stipendi: L’adeguamento automatico dei salari all’inflazione, come avvenuto in Belgio, potrebbe rappresentare una soluzione per contrastare la perdita di potere d’acquisto.
  • Introduzione del salario minimo: L’introduzione del salario minimo, come avvenuto in Portogallo, Grecia e Spagna, potrebbe contribuire a migliorare la situazione salariale. Tuttavia, l’attuale governo italiano non sembra favorevole all’introduzione di questa misura.
  • Rafforzamento della contrattazione collettiva: È importante che la contrattazione collettiva riesca a svolgere un ruolo più incisivo nella tutela del potere d’acquisto dei salari, garantendo una distribuzione più equa del costo dell’inflazione tra imprese e lavoratori. Negli ultimi anni, il ruolo della contrattazione nazionale si è indebolito, lasciando più spazio alla contrattazione di secondo livello e a quella individuale, che non sempre riescono a compensare le perdite subite.

Oltre a queste soluzioni, è importante affrontare le debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano, caratterizzato da:

  • Bassa produttività: La crescita dei salari è stata storicamente inferiore a quella di altri Paesi europei a causa della bassa produttività dell’economia. Negli ultimi 30 anni infatti si è preferito delocalizzare le produzioni in paesi dove il costo salariale è più basso. Gli stessi paesi che oggi stanno avendo una crescita più importante dell’Italia.
    In pratica abbiamo insegnato a questi paesi come diventare più ricchi, sacrificando la ricchezza nazionale.
  • Ampia quota di lavoro non standard: La presenza di un’elevata percentuale di contratti a breve termine e di lavoro precario, e tantissimo lavoro nero, contribuisce a mantenere bassi i livelli salariali.
  • Ritardi nei rinnovi contrattuali: I lunghi tempi di attesa per il rinnovo dei contratti collettivi aggravano la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori, soprattutto in periodi di alta inflazione.

È importante sottolineare che l’aumento dei salari non rappresenta una minaccia per l’inflazione, poiché i salari sono solo una parte dei costi totali e possono essere assorbiti dai profitti delle imprese. Anzi, un rafforzamento della dinamica salariale potrebbe contribuire a sostenere la ripresa economica, soprattutto in un contesto di elevati profitti aziendali e rallentamento degli investimenti.

In conclusione

Per contrastare la perdita di potere d’acquisto e migliorare la situazione salariale in Italia, è necessario adottare misure che affrontino le cause profonde del problema.
La CGIL Nazionale evidenzia come la precarietà contrattuale, la discontinuità lavorativa e l’alta incidenza del lavoro a tempo parziale, spesso involontario, siano tra i principali fattori che determinano bassi salari.

Promuovere la stabilità lavorativa, riducendo i contratti di breve durata (fino a 3 mesi) come evidenziato dai dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e favorendo il passaggio al tempo pieno, quando desiderato, contribuirebbe ad aumentare le retribuzioni. Inoltre, è cruciale garantire il rinnovo tempestivo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), tenendo conto dell’inflazione reale, per adeguare gli stipendi al costo della vita. Investire nella formazione e nell’aggiornamento professionale è essenziale per elevare le competenze dei lavoratori, soprattutto in un contesto come quello italiano caratterizzato da una maggiore presenza di basse qualifiche rispetto ad altri paesi europei.

Una crescita economica robusta è fondamentale per creare posti di lavoro di qualità e favorire l’aumento dei salari. Infine, è importante sottolineare che, contrariamente ad alcune preoccupazioni, l’aumento dei salari non si traduce necessariamente in un aumento dell’inflazione, come dimostrato dall’analisi della Banca Centrale Europea. Anzi, un rafforzamento del potere d’acquisto dei lavoratori può avere un impatto positivo sulla crescita economica, soprattutto in un contesto di elevati profitti aziendali.

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